Greco Marina, Il recupero dell’ascolto nella psicoanalisi di Freud
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- Categoria: ASCOLTAZIONE
- Pubblicato Venerdì, 08 Luglio 2011 07:31
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La psicologia dinamica ci ha insegnato che la nostra psiche è da considerarsi non come una realtà unitaria, bensì come un insieme di diversi e complessi processi, caratterizzato da una dinamica che pone in contraddizione affetti, pensieri e tendenze del soggetto che è in divenire ad opera di forze che agiscono dentro di lui[1].
L’armonia del e con il sé e il sentirsi in armonia di questo sé con il mondo dipendono dalla capacità di ciascun soggetto di cogliere il senso che abita all’interno dell’interiorità dell’essere. Tale capacità dipende, a sua volta, dal modo in cui si è instaurata la relazione per antonomasia, vale a dire la relazione madre-bambino[2], fondata essenzialmente sull’Ascolto. L’avvento di Freud e della psicanalisi rappresentano una svolta radicale non solo per i motivi che tutti conosciamo, ma anche per il recupero proprio dell’ascolto: prima di lui il paziente era un oggetto da conoscere (l’oggetto della conoscenza della cultura occidentale), soprattutto attraverso l’attenta osservazione visiva, attraverso lo sguardo, dei sintomi che mostrava.
Con Freud il paziente diventa una persona da ascoltare, in quanto egli crede che sia possibile attribuire un senso al delirio del soggetto affetto dal disturbo, il che impone di fatto la necessità di ascoltarlo. Conseguentemente il porsi in ascolto di qualcuno presuppone e implica l’esistenza di una dinamica relazionale fra medico e paziente: il primo non ha davanti a sé solo dei sintomi da ricondurre a una qualche generica classificazione, bensì una persona, con la sua particolare unicità. Con lo studioso austriaco si prefigura, dunque, per la prima volta, seppur sbilanciata e asimmetrica, una relazione dialogica fra il medico e il paziente[3].
La novità introdotta da Freud non consiste solo nel far parlare il paziente affinché l’ascolto delle sue parole offra al medico un completamento o una chiarificazione di quanto già ha osservato con gli occhi. La svolta e la novità assoluta consistono nell’individuare nell’ascolto, che caratterizza e su cui si fonda la relazione medico-paziente, la cura e la terapia stessa per il disturbo[4].
Il mezzo attraverso cui la relazione dialogica medico-paziente si dispiega è il linguaggio, la comunicazione verbale, fatta di parole, di ascolto, di silenzi.
Di chi?
Di entrambe le persone coinvolte nella relazione. Ma soprattutto del paziente che, come sottolinea Carlo Brutti, “recupera, nella esperienza psicanalitica, il pieno diritto a parlare, come il diritto a tacere”.[5].
L’ascoltare dell’analista, poi, non è un semplice stare a sentire ciò che il paziente dice, per poi alla fine rivelargli la verità. L’ascolto dell’analista “si modula sul doppio registro della comunicazione del paziente e del proprio discorso interiore”[6] attivato dalle parole del paziente. Ad un certo punto il discorso sonoro del paziente e quello silente dell’analista si incontrano e il senso di tutto è rischiarato da una parola: “È nel dischiudersi di questa parola che l’atto analitico celebra il suo momento più creativo e trasformante”[7].
In questa relazione dialogica l’intera realtà personale, conscia e inconscia, del paziente e del terapeuta, viene coinvolta nella ricerca della verità: “Freud non fa che ricercare il giusto punto di mediazione tra il momento critico del sapere smascherante ed il momento dell’attenzione accogliente nei confronti dell’individuo che cerca aiuto presso di lui”[8].
L’applicazione e l’utilizzo della tecnica terapeutica di Freud non può prescindere dall’impianto teorico che concepisce il disturbo psichico in divenire e che studia “nella loro dinamica (rapporto di forze e concatenazione di cause ed effetti, da cui l’aggettivo psicodinamico riferito all’orientamento analitico) la nascita dei processi psichici ed il loro evolvere verso la salute o la malattia”[9].
Nella concezione psicoanalitica, all’interno della psiche umana agiscono tre istanze psichiche dinamicamente interagenti fra di loro (Es, Io, Super-Io).
Tale concezione ha portato alla scoperta di una relazionalità insita nel sé e di una dialogia interiore dell’essere umano: “attraverso la dinamica del transfert, il paziente traspone nel suo rapporto attuale con l’analista la dialettica delle istanze psichiche configuratasi nelle prime, decisive fasi della propria storia interiore.”[10].
In questa prospettiva teoria e prassi sono strettamente connesse.
La psicoanalisi, è “un processo che si propone non tanto e non solo la “guarigione” clinica del paziente, intesa come eliminazione dei sintomi, quanto piuttosto di favorire una ristrutturazione stabile dell’assetto interno della persona, tramite una migliore conoscenza di sé, del proprio mondo psichico e delle proprie motivazioni”[11] affinché il soggetto possa trovare una risposta al suo bisogno di coesione, stabilità e armonia.
Nella psicoanalisi, per il soggetto in cura, la relazione dialogica diventa maieutica, in quanto lo aiuta a conoscere la sua dimensione interiore e a prendere atto della verità che gli viene restituita: “l’analista deve ricostruire la storia interiore del paziente dissotterrando, come un archeologo della psiche, la verità sepolta nell’inconscio. […] Una simile archeologia è possibile solo se il paziente – anzi lui per primo – si mette a scavare”[12].
Questa verità (=senso che abita nell’interiorità dell’essere →armonia con il sé e con il mondo esterno) cos’è, se non quel méghiston agathón (sommo bene), obiettivo finale dei dialoghi fra Socrate e i suoi discepoli[13]?
La tecnica terapeutica freudiana si configura, pertanto, nella nostra riflessione, come il primo autentico recupero, da parte della cultura occidentale, della maieutiché tèchne, la maieutica socratica[14], primo fondamento della psicologia del profondo[15].
Marina Greco
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[1] Cfr. AA.VV., Storia della psicologia, a cura di P. Legrenzi, Il Mulino, Bologna 1982, cap.7.; Imbasciati A., Istituzioni di psicologia, UTET, Torino 1986, tomo I, cap. 1, pp. 26-28, 92-93.
[2] Cfr. Greco M., La relazionalità come essenza dell’ascolto, MiA, Musicoterapie in Ascolto, Archivio 2011.
[3]Cfr. Mancini R., L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verità, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pp. 225-226.
[4]La cura, nella psicoanalisi, consiste dunque nella disposizione a un certo tipo di ascolto da parte dell’analista. Questa non è una specificità propria di questa disciplina, ma caratterizzerà molte altre tipologie di relazioni d’aiuto. Spesso si pensa che aiutare una persona equivalga a parlarle, confortarla con le parole. In realtà l’aiuto di cui si ha più urgente bisogno è che qualcuno ascolti, perché solo se si sente ascoltata una persona percepisce il suo essere al mondo, in quanto in quel momento esiste ed è importante per qualcuno.
[5]Brutti C., Parola e silenzio nell’ascolto psicanalitico, in AA.VV., L’ascolto che guarisce, Cittadella Editrice, Assisi 1995, p.48.
[6]Ibid., p.49.
[7]Ibid. A questo proposito è forse il caso di ricordare che l’ascolto è proprio la reciproca trasformazione delle prospettive di partenza dei soggetti coinvolti nella relazione dialogica.
[8]Mancini R., op. cit., p. 230.
[9]Ricciotti A., Appunti di psichiatria, psicopatologia generale e neuropsichiatria infantile, Dispensa del Corso Quadriennale di Musicoterapia, PCC, Assisi, p.55.
[10]Mancini R., op. cit., p.227.
[11]Ricciotti A., op.cit., p. 56.
[12] Mancini R., op.cit., p. 229.
[13]Cfr. Greco M., L’ascolto agli albori del pensiero occidentale, MiA, Musicoterapie in Ascolto, Archivio 2011.
[14]R. Mancini offre innumerevoli spunti di riflessione: a partire dalla psicanalisi freudiana l’autore individua varie tipologie di ascolto terapeutico. Quello indubbiamente più interessante nella nostra prospettiva di indagine che parte dal modello socratico è quello che Mancini definisce ascolto simbolico-maieutico: “il tratto saliente di questa modalità dell’ascoltare rinvia ad una concezione che intende il vertice conoscitivo dell’analisi non già come la messa a punto, da parte del terapeuta, di un’interpretazione complessiva ed autentica, ma come il raggiungimento di un’interpretazione autoesplicativa da parte del paziente. L’ascolto promuove così una relazione maieutica, in cui l’analizzato, sia pure con l’aiuto determinante dell’analista, diventa a pieno titolo interprete, pervenendo ad un’inedita coscienza di sé”. Cfr. Mancini R., op.cit., pp.235-236.
[15]Tomatis A., Ascoltare l’universo. Dal big bang a Mozart, Baldini&Castoldi, Milano 2005, p. 211.