Amoroso Clemente, Ma che musicoterapista sarò? Breve elenco… disordinato
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- Categoria: DIALOGHI
- Pubblicato Venerdì, 06 Gennaio 2012 08:28
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Vorrei essere un musicoterapista, ossia una persona che:
- promette poco e mantiene molto;
- contribuisce a dare un piccolo aiuto ad affrontare e convivere con la sofferenza;
- affronta le storie musicoterapiche che non hanno un lieto fine;
- conosce anche altri ‘modelli’ teorici di riferimento per poter essere ‘accogliente’;
- in contesti extraprofessionali o meglio extra accademici, dà una definizione pop (popolare, divulgativa) di musicoterapia;
- facendo musicoterapia, dà un piccolo contributo terapeutico che può ben funzionare se contestualizzato nell’ambito di una terapia medica programmata che la ingloba;
- diffida dei colleghi che non credono nei miracoli di Lourdes ma credono esclusivamente nei ‘miracoli musicoterapici’ poiché si ritengono... scienziati;
- diffida dei musicisti che si proclamano terapisti solo perché pensano che fare musica li abiliti anche alla professione terapeutica, così come accade per altre figure professionali (es. psicologo /psicoterapeuta, ecc.);
- non svolge sedute terapeutiche su una comoda poltrona. Di comodo può indossare solo degli abiti, sapendo che ‘l’abito (il camice) non fa il monaco (il musicoterapista)’;
- sistematicamente espleta una sorta di ‘burocrazia terapeutica’ (schede varie in e out, griglie di osservazione, protocollo della seduta; è sempre consigliabile ed è la imemoria di ciò che si fa, così come una relazione di fine trattamento, anche se nessuno la leggerà, ecc.);
- non pratica la musicoterapia breve, come percorso terapeutico;
- cerca di realizzare il presupposto di una terapia efficace, ossia di adattarsi “all’immagine del mondo dell’altro[1]”;
- pratichi una musicoterapia che contempli anche altre prassi extramusicoterapeutiche;
- crede di non ‘essere normale’;
- monitora e ‘manutenziona’ la sua salute mentale;
- è... ‘paziente’ di se stesso, prendendosi costantemente in carica;
- spende denaro per la Supervisione perché gli serve!
- studia e si aggiorna così come fanno altri professionisti;
- la sua è una professione relativamente giovane; un costante work in progress;
- all’utopica costituzione di un albo professionale, preferisce semmai il punto di vista musicoterapico come paradigma clinico: ‘niente di sicuro da tutti i punti di vista’;
- sa fare ricerca per se stesso, senza ansia, sapendo che ciò che fa è una ‘buona prassi’ anche… scientifica;
- utilizza i dati per testimoniare il lavoro svolto a prescindere dai risultati ottenuti e dal loro utilizzo;
- con il laboratorio di musicoterapia, monitora anche il lavoro degli altri interventi clinici e riabilitativi (ed è una risorsa), sapendo che il miglioramento di una persona non è causato dall’esclusivo intervento musicoterapico;
- esercita una professione atipica in cui obiettivi e punti di partenza variano a seconda delle problematicità di cui soffre la persona; cosicché il risultato terapeutico che ci si prefigge di raggiungere per una patologia può essere invece il punto da cui partirne con un’altra;
- non può applicare sempre alla perfezione la propria prassi musicoterapica. Per cui il setting sarà spesso ‘un setting da campo’. A volte può capitare che la durata della seduta sia paradossalmente stabilita dal custode che deve chiudere il centro perché si è fatto tardi e non gli pagheranno lo straordinario o che, e mi è capitato, sentirà gridare dalla parete confinante, in piena seduta:<<La smettiamo di fare casino? Qui stiamo lavorando>>;
- ha bisogno di un’infinita… pazienza.
Clemente Amoroso
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