Accanto alle situazioni istituzionalizzate ne esistono altre, molto più numerose, imprevedibili, incontrollabili, cui l’etnologo sul campo deve porre attenzione uditiva.
Si tratta di accadimenti sonori - parole e suoni vocalici asemantici ma espressivi, rumori intenzionali e casuali - una sorta di territorio vasto e difficilmente afferrabile consistente di tutti quei molteplici momenti, di lunga o di corta durata, quotidiani e apparentemente irrilevanti, domestici e intimi, non facilmente “addomesticabili” in un protocollo di lavoro, al contrario spesso volutamente espulsi da tale contesto formale.
Sono presenze acustiche interstiziali e imponderabili, una sorta di ordito del mondo, materiali sonori collocati negli spazi “vuoti” lasciati fra le “cose importanti” cui si pone attenzione, scorie sonore dell’oralità tramite cui è possibile pervenire a una complessa consapevolezza etnografica densa e pesante, intima e calda, ricca e fertile come una torba fumante di humus entro cui far germogliare i semi di piante nuove.
Soltanto tramite tale lavorio, lento e lungo, difficile come un corteggiamento e problematico - in primo luogo per il mantenimento della presenza del sé dell’etnografo messa ripetutamente in gioco - è possibile penetrare e raggiungere il livello più intimo del contesto di competenza comunicativa».
Antonello Ricci
Antropologia dell’ascolto
Edizioni Nuova Cultura
Roma 2010
p. 55, 56
La lettura del prezioso estratto del prof. Antonello Ricci fa riflettere sull’importanza dell’ascolto e, in particolare del cruciale utilizzo della nostra dimensione auricolare; una disposizione che, se ben praticata, ci porta a scoprire che “l’ordito del mondo” é fatto di suoni.
Se poi proviamo a sostituire le parole: etnologo sul campo, etnografo con quella di musicoterapeuta o di qualsiasi altro professionista o persona che utilizzi veramente l’ascolto ecco che la riflessione può calzare, sorprendentemente, a pennello, non solo agli antropologi, ma a quanti aspirano alla pratica dell'ascolto.
Giangiuseppe Bonardi
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