L’ascolto è la forma acustica del silenzio

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ASCOLTAZIONI DI BONARDI GDiscorrere di silenzio è un paradosso.  

Fare silenzio è difficile. 

Il tema del silenzio è quindi problematico da affrontare poiché, se non si sta bene attenti, possiamo scivolare nella sua retorica celebrativa.

Benché sia espresso al singolare, il silenzio ha molteplici sfaccettature per cui esistono varie forme di… silenzio.

Il silenzio come condizione di vita… come accade per la persona sorda o per chi non è in grado di comunicare.

Il silenzio come oppressione…  di sé.

Il silenzio come ricerca di… sé.

Il silenzio come pausa… musicale.

Il silenzio come ascolto…  di sé per poter accogliere l’altro da sé.

Il silenzio può essere considerato quindi in molteplici modi ma, tra le varie possibilità esistenti di silenzio, pensarlo paradossalmente come la manifestazione acustica dell’ascolto mi sembra l’eventualità maggiormente appassionante.

In musicoterapia, placando la tensione espressiva, ponendomi in silenzio rimango, di fatto, in ascolto. 

In questa prospettiva l’ascolto silente è un’attività voluta, di difficile realizzazione sia durante la fase di osservazione che in quella d’interazione individuale e di gruppo.

Nel momento in cui mi metto in ascolto, di fatto, faccio una scelta poiché decido di astenermi dal fare, nello specifico, dal suonare.

La condizione di silenzio che scelgo di vivere, mentre accolgo l’altro, dischiude inaspettatamente il mio orecchio all’ascolto del mio mondo interno.

Durante l’ascolto vivo quindi una duplice condizione d’accoglienza rivolta:

  • a me;
  • all’altro da me.

Nel silenzio vivo quindi una paradossale forma di dualismo dinamico poiché da una parte il mio orecchio si orienta verso il mio sé e, dall’altra, cerca di percepire l’altrui presenza.

La mia attenzione è catturata ora dal mio mondo interno.

Quale musica interiore avverto?

Quali sono i suoni, i ritmi, le melodie, le armonie che la formano?

Ben presto scopro che la musica interiore che percepisco è composta di vissuti a volte piacevoli e altre spiacevoli, per cui le consonanze emozionali coesistono con le dissonanze; le armonie con le disarmonie.

La mia musica interna può essere quindi sublime o cacofonica.

Che cosa accolgo?

Accolgo la musica emozionale che mi piace e rifiuto quella che mi fa soffrire?

Accolgo quella che non mi piace?

Le accolgo entrambe?

Probabilmente sì, le accolgo entrambe perché solamente quando ho la forza di accettare anche ciò che mi fa soffrire, ascolto, di fatto, me stesso in toto e non solamente una parte di me, riequilibrando il mio ritmo interiore. Solamente accogliendo me stesso posso ascoltare l’altro che a volte gioisce altre… soffre.

Facendo chiarezza tra i miei vissuti e ciò che l’altro vive posso evitare il pericolo di attribuirgli sensazioni, emozioni e sentimenti che, di fatto, vivo solamente io.

Ciò è possibile soltanto quando nomino quella gamma di sonorità emozionali che, grazie all’ascolto silente, percepisco con fatica.

Elaboro quindi il dizionario dei vissuti sonori che riconosco, sapendo bene che nessun’altra persona mi può sostituire in questa mia ricerca perché solo io posso assegnare il nome a ciò che provo e nessun altro mi può aiutare, nemmeno con un suggerimento.

Quando avrò accolto, in particolare, ciò che non mi piace di me stesso, il tumulto interiore inizia a placarsi ed io posso finalmente percepire l’altro per quello che è. In un secondo momento cercherò di elaborare il dizionario dei vissuti provati dall’altro, sforzandomi di essere obiettivo ed estremamente recettivo.

Così facendo il mio modo di osservare e di interagire sarà punteggiato da pause, silenzi… appropriati, in cui realizzo l’ascolto dell’altro e di me.

Un silenzio per accogliermi e per accogliere l’altro.

So bene che fare silenzio è difficile poiché, di fatto, nella situazione musicoterapica spesso ci si trova a dover fare i conti con la personale tensione emozionale orientata spasmodicamente alla ricerca di un possibile contatto con l’altro.

Talvolta, interagendo musicalmente con persone fortemente compromesse sul piano relazionale e comunicativo, rincorro il sogno di stimolare una risposta d’assenso nell’altro, sebbene tardi a giungere, o non giunga mai, oppure temo di perdere il flebile contatto sonoro per cui ripeto incessantemente la stessa proposta musicale.

In entrambe i casi mi rendo conto che do poco spazio all’ascolto ma d’altra parte so con certezza che posso stare in ascolto quando sono in grado di farlo a livello emotivo e ritengo inutile ricercarlo con la mente.

L’ascolto vero, sincero è fatto col cuore poiché è un’attività autentica e viva. Porsi in ascolto con la sola forza della ragione è, di fatto, un atto faticoso e controproducente.

L’ascolto di sé e dell’altro da sé non può realizzarsi per calcolo o per opportunità poiché, se così fosse, perderebbe la sua natura di autenticità e, tingendosi di menzogna, suonerebbe alle nostre e alle altrui orecchie come un’attività totalmente falsa.

Non è possibile accogliere con la mente la propria e l’altrui sofferenza o gioia ma con il cuore… sì.

Giangiuseppe Bonardi

Ascoltazioni

MiA

byStreetLib

2016

Versione cartacea

p. 62-73

 https://www.ibs.it/ascoltazioni-ebook-

giangiuseppebonardi/e/9788822874603