Andrello Roberta, Uomo, musica e terapia

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Il bisogno di definizioni
Definire la musicoterapia non è facile, al riguardo  Bruscia, una delle figure più autorevoli nel panorama musicoterapico internazionale, afferma che saper definire la musicoterapia è parte integrante del bagaglio culturale di un musicoterapeuta1.
Definire la musicoterapia è necessario per acquistare credibilità, perché consente di inquadrarla all’interno di confini teorici, pratici ed euristici che le siano propri, indipendentemente dal legame con altre discipline.
Le definizioni “… rappresentano un effettivo strumento di informazione per chi non è del campo; sollevano questioni e problemi fondamentali per i professionisti della materia; tracciano i limiti della pratica clinica, della teoria e della ricerca; specificano il corpo della conoscenza che deve esserci nella materia; stabiliscono un’identità professionale; rivelano le opinioni soggettive di chi parla; riflettono gradi di sviluppo individuale e collettivo; e forniscono un contesto per la comunicazione tra musicoterapeuti.” (Bruscia)2
Analizzando le definizioni di musicoterapia che vari autori hanno formulato, è possibile osservare come queste sottendano innanzitutto diversi modi di concettualizzare l’uomo; non solo perché la musica “gioca un ruolo importante nella vita di ogni giorno… e la maggior parte delle persone riconosce il potere della musica nell’influire sulle emozioni…”3, ma soprattutto perché qualsiasi intervento musicoterapico coinvolge l’uomo, e, in primis, il rapporto uomo-suono.
 
L’uomo
L’essere umano è complesso: i suoi comportamenti, il suo stato di salute fisica e mentale, i suoi stati d’animo, sono la risultante di interazioni tra sé ed il contesto ambientale e socio-culturale in cui egli vive.
Una tendenza diffusa, quando si cerca di definire l’uomo, è quella di muoversi nella direzione della semplificazione del complesso, anche a rischio, talvolta, di essere piuttosto riduttivi.  È anche per questo motivo che tra i vari modi di concepire l’essere umano c’è chi sottolinea la sua dimensione biologica (comportamentismo, modello medico e psicoanalisi), chi quella psichica (psicologia umanistica) e chi ancora quella sociale (psicologia sistemica) trascurando le altre e cadendo, per così dire, nella “trappola” di una visione unilaterale.
Nel panorama psicologico sono tradizionalmente presenti due modi contrapposti di concettualizzare l’essere umano: quello comportamentistico e quello umanistico.
Secondo il punto di vista di Ruud, all’origine di queste due diverse impostazioni c’è la filosofia cartesiana che, affermando il dualismo mente-corpo, prelude ad una concezione dell’uomo più centrata sulla considerazione del corpo (oggetto), oppure della mente (soggetto).
La differenza sostanziale tra queste due posizioni si può riassumere in questi aspetti:
  • i comportamentisti rifiutano ciò che non è direttamente osservabile, perché non oggettivamente verificabile; in questo modo spogliano l’uomo di tutte le caratteristiche della sua essenza umana e lo paragonano all’oggetto di studio delle scienze naturali, in quanto, sulla base del pensiero di Lock, ritengono che esso riceva passivamente gli stimoli del mondo esterno;
  • gli umanisti, invece, sulla base degli assunti della filosofia esistenzialista e in particolar modo sul concetto di Heidegger di “Dasein”, “esserci”,  che racchiude il senso dell’esistenza umana, si contrappongono alla concezione deterministica e biologica dell’uomo (che caratterizza anche la psicoanalisi ed il modello medico) e lo definiscono in termini di persona.
L’enfasi è quindi sul soggetto attivo e su alcuni temi quali  linguaggio,   pensiero,  capacità di scelta, abilità di comunicare,  responsabilità,  autorealizzazione, affetto, spontaneità, crescita, etc., trascurati sia dal comportamentismo, sia dalla psicoanalisi.
La concettualizzazione dell’uomo condivisa da coloro che appartengono a questa impostazione è definita dai cinque postulati fondamentali  di  Burgental4:
      1. …  quando si parla di uomo, lo si intende come persona, non come organismo;
      2. l’uomo vive la sua esistenza in un contesto umano;
      3. l’uomo è cosciente;
      4. l’uomo ha capacità di scelta;
      5. l’uomo è intenzionale; nelle sue scelte dimostra le sue intenzioni”.
Al di là della differenza di posizioni, una critica che Ruud5 rivolge alla psicologia umanistica ma che può essere estesa anche al comportamentismo, alla psicoanalisi e al modello medico, è il fatto che tutta l’attenzione è posta sul soggetto, mentre non sono  presi in considerazione né il mondo esterno, né le condizioni materiali di vita.
Si avverte la mancanza, per avere una visione “a tutto tondo” di ciò che l’uomo è, della  considerazione del fatto che egli vive e interagisce con il contesto ambientale e socio-culturale del quale fa parte.
Una posizione che cerca di andare oltre la “contrapposizione” fra concezioni comportamentistiche e umanistiche della persona, prendendo in considerazione anche gli aspetti da queste trascurati, è la teoria cognitivo-sociale della personalità.
Il modo di concettualizzare l’essere umano trae origine da due considerazioni principali:
  • la prima è il concetto chiave di questa teoria, ossia che è sempre presente un processo di interazione tra l’organismo e l’ambiente, pertanto il comportamento ha origini sociali;
  • la seconda è l’importanza data alle cognizioni, ovvero ai processi di pensiero nel funzionamento umano.
Ne discende che “le persone sono considerate capaci di orientare attivamente la propria vita e di apprendere modelli complessi di comportamento in assenza di ricompense”.6
Siamo quindi di fronte ad un modo di intendere l’essere umano che ne consente una visione più completa, integrando aspetti che, se considerati separatamente, non rendono giustizia della sua complessità.
Partendo dalla critica di Ruud e considerando i punti di vista dei diversi orientamenti psicologici, si può quindi affermare che l’uomo si caratterizza per il fatto di possedere sia una dimensione biologica, l’organismo, in virtù della quale prendiamo atto dei processi fisiologici, organici e biologici che avvengono al suo interno, sia psichica, fatta di capacità di pensiero, di linguaggio, di processi psicologici interni (motivazioni, emozioni, intenzioni) di costrutti psicologici (il sé, l’identità, la personalità)7 etc., che fanno dell’uomo una persona e un soggetto attivo con un proprio senso di auto-efficacia, una propria autostima, un senso morale, etc., sia sociale, caratterizzata da continui processi di interazione con l’ambiente circostante e da una fitta rete di interscambi significativi con le altre persone.
Queste tre componenti, in continua interazione, si influenzano reciprocamente e sono la base da cui muovere per comprendere gli stati d’animo, i comportamenti, le condizioni di salute fisica e mentale , etc. che ne sono una diretta manifestazione.
Da un punto di vista musicoterapico, le tre dimensioni descritte rappresentano il nucleo originario del paradigma uomo-suono.
In quanto “essere sociale”, inserito all’interno di uno specifico contesto culturale, l’uomo viene a contatto con le sonorità ambientali e le musiche che caratterizzano la sua area geografica e la sua etnia.
Grazie alle strutture neurofisiologiche, l’uomo interagisce con “l’ambiente sonoro-musicale”, dando luogo a peculiari reazioni fisiologiche, sensoriali, emotive e cognitive.
Da questa continua interazione nasce quella che Bonardi definisce la dimensione sonoro - musicale della persona, ossia “… l’insieme eterogeneo  delle sonorità ambientali (naturali, tecnologiche, familiari) e delle musiche (strutture ritmiche, melodie, canti, brani musicali) iscritto nel patrimonio mnemonico di una persona. Il patrimonio mnemonico, formante la D.S.M. è la risultante delle peculiari modalità di interazione (percezione ed espressione) elaborate dalla persona nei riguardi dell’habitat acustico-musicale di appartenenza.”8
 
La musica
In armonia con il concetto di uomo presentato precedentemente, la musica può essere  definita come l’insieme di suoni organizzati sulla base delle regole stabilite da una determinata cultura, pertanto essa è contemporaneamente un fenomeno   culturale. 
Una posizione unica, in questo senso, è quella di Marius Schneider, il quale sostiene l’esistenza di “… una musica naturale, la cui dinamica non dipende né da un metro convenzionale né da un programma estetico elaborato da una determinata cultura. Costituiscono tale musica i suoni che l’uomo emette spontaneamente, sia come espressione del ritmo interiore della propria persona, sia come imitazione dei suoni della natura…9
Parimenti Schneider afferma l’esistenza di una musica “artistica”, che soggiace ad un processo estetico ed è quindi elaborata da una peculiare cultura.
Al riguardo Leydi afferma che “… in ogni comunità culturalmente distinta e socialmente organizzata…, esiste un particolare “modo” di espressione sonora, un vero e proprio “stile” che realizza l’intero fenomeno musicale in una fondamentale unità…”10, pertanto “… le forme naturalmente assunte da linguaggio e musica differiscono da cultura a cultura… ed il fatto che vi siano delle forme differenti fa sì che le persone che hanno familiarità con una certa forma sono spesso incapaci di affrontare adeguatamente le altre.”11
La possibilità di attribuire ai suoni un significato è quindi vincolata alla cultura, che in questo senso agisce da filtro e nel contempo da mediatore nella relazione uomo-suono, facendo della musica un’espressione polisemica, cioè in grado di rivelare significati diversi a popoli e a sub-culture differenti.
La musica diventa allora per la mente umana un codice simbolico che assume molto spesso un significato extra-musicale. Una delle ipotesi più diffuse è infatti quella secondo  la quale “le sequenze musicali denotano, o stanno per, certi stati emotivi12, permettendo di rappresentarsi mentalmente oggetti che non sono presenti nel mondo esterno e di dare loro una “forma” , ( definita da Kramer come “… l’ordine e la struttura con la quale l’espressione artistica concretizza le esperienze …  e … ci dà la possibilità di riconoscere,  far emergere e padroneggiare l’esperienza interna.”13) che ne consenta un più facile accesso alla coscienza.
“… Il linguaggio musicale può… quindi… in qualche modo facilitare la conoscenza dei vissuti emotivi predisponendone l’organizzazione strutturale e favorendone il controllo da parte dell’individuo.”14
Questo gli consente di diventare capace “… di confrontarsi con la realtà, di provare emozioni, sentimenti, per quanto a volte possano essere spiacevoli o sconvolgenti, senza perdere la possibilità di pensare15 e “… di porre le basi per “… una maggiore capacità comunicativa tra individuo e gruppo … che assicura una … maggiore probabilità di sopravvivenza ad entrambi.”16
In questo senso la musica diventa un canale espressivo e una forma di linguaggio non verbale che, in un contesto relazionale, svolge l’importante ruolo di mediatore tra due persone, attivando o riattivando modalità comunicative che consentono la nascita di un primo contatto, quale preludio di una possibile relazione.
Il rapporto uomo-suono prende quindi forma all’interno di uno specifico contesto culturale e coinvolge caratteristiche fonologiche, sintattiche, e semantiche della musica, ma ciò che in prima battuta rende possibile l’interazione tra questi due sistemi, consentendo alla musica di esercitare una qualche influenza sulla persona, è il complesso apparato neurofisiologico dell’uomo, mediante il quale si realizzano la percezione e l’espressione sonora e musicale.
 
La terapia
In un’opera inedita in Italia, “Los caminos de la Musicoterapia”, E. Ruud17 sostiene che i diversi procedimenti musicoterapici sono vincolati alle usuali tendenze dei concetti di terapia di orientamento: biologico, comportamentale, psicodinamico, umanistico -esistenziale e della teoria della comunicazione, che a loro volta corrispondono a differenti orientamenti filosofici. “Anche se il fine ultimo della musicoterapia è quello di farsi disciplina a sé stante fino ad ora è stato necessario costruire i processi che stanno alla base della musicoterapia su teorie dominanti in psicologia e nella filosofia di altri trattamenti.”18
L’etimologia del termine “terapia” è incerta, tuttavia si è soliti definirla secondo la sua radice greca “therapeia” che significa assistere, aiutare o trattare.
Tuttavia “terapia” è, nel nome musico-terapia, il secondo elemento e assume il significato di “metodo di cura”.19
L’attenzione cade su tre aspetti: il significato di assistere, aiutare o trattare, implica la presenza di una persona bisognosa d’aiuto e di una che sia disposta ad aiutare; il “metodo” richiama un “… modo formale di procedere…”20 e in questo contesto lo si può intendere come un intervento sistematico, che ha carattere di continuità per un certo periodo di tempo (in questo senso è un processo), che avviene in un luogo e con degli scopi da raggiungere mediante l’applicazione di particolari tecniche; la cura implica la realizzazione di un cambiamento specifico nel paziente, infatti, “… per aver luogo la terapia, il terapeuta deve agire in qualche modo sul cliente per produrre un effetto o un cambiamento di qualche tipo”.21
In sintesi, quindi, si può intendere con terapia ”… l’insieme di mezzi organizzati che vengono posti in opera al fine di curare e possibilmente guarire le malattie…”, là dove “curare” significa “… ripristinare una condizione di armonia psicofisica, se questa c’era, o costruirne una nuova, se non c’era…”22.
Nel contesto musicoterapico tutto questo si traduce in un processo sistematico di intervento che coinvolge uno o più pazienti, a seconda che la terapia sia individuale o di gruppo, uno o due terapeuti (terapeuta e coterapeuta), un setting, costituito da una stanza con adeguati arredi e una certa disposizione degli strumenti, da un contratto tra il terapeuta ed il paziente o da chi ne ha la responsabilità, dalle regole, dal calendario e dagli orari degli incontri.
La sistematicità, nel senso di metodicità che fa sì che l’intervento possa configurarsi come terapeutico, richiede che questo si svolga sulla base di un progetto che viene steso dopo una fase di osservazione durante la quale sono raccolti i dati e le informazioni necessarie alla conoscenza dei pazienti e in particolare dell’ambiente sonoro musicale nel quale vivono e in funzione della quale vengono definiti gli scopi che si tenterà di raggiungere mediante l’utilizzo della musica, secondo le tecniche previste dal metodo che si intende applicare.
La musicoterapia
Riprendendo la distinzione che Bruscia23 fa tra Musicoterapia e musicoTerapia, intendendo con la prima tutti quei progetti terapeutici nei quali la musica assume un ruolo prioritario e può essere considerata terapeutica di per se stessa e, con la seconda, le situazioni nelle quali la musica assume un ruolo importante di facilitazione nel contesto di un lavoro basato sullo sviluppo della relazione tra terapeuta e paziente, è possibile individuare due modi diversi di intendere la musicoterapia: quando si fa maggior riferimento al corpus teoretico dell’area psicoterapeutica, la musicoterapia è intesa come psicoterapia; se invece l’enfasi è più sulla didattica, sulla pedagogia e sulla semiologia musicale, la musicoterapia assume i caratteri dell’animazione musicale.
Partendo però dall’accostamento dei due nomi di cui si compone la parola musicoterapia, si individua una terza connotazione, secondo la quale la musicoterapia è a tutti gli effetti MusicoTerapia, ossia l’area in cui si realizza l’interazione tra le discipline musicologiche e quelle legate alla terapia, senza che  l’una prevalga sull’altra. 
In questo modo “… dall’incontro fra la componente musicale e quella terapeutica, si origina un linguaggio specifico e diverso da quello delle componenti di partenza… questa concezione di musicoterapia… riconosce  l’importanza del mediatore sonoro e, al tempo stesso, l’importanza di collocare quest’ultimo in un’adeguata, ma non standardizzabile, cornice costituita dalla relazione terapeuta-paziente…24.
In questa terza accezione e sulla particolare concezione di uomo, musica e terapia esplicata, nasce una delle possibili definizioni di musicoterapia, alla quale corrisponde, sul piano operativo, un particolare modo di fare musicoterapia.
La musicoterapia è quindi l’applicazione sistematica della musica, partendo dalla dimensione sonoro musicale della persona (paziente) a dal rispetto delle sue capacità musicali, allo scopo di attivare una comunicazione che, agendo a livello non verbale, consente l’espressione di aspetti e parti di sé che solitamente non emergono e pone così le basi per lo sviluppo della relazione tra la persona (paziente) ed il terapeuta, favorendo al contempo l’integrazione organica, emozionale, comportamentale, comunicativa, motoria e sociale della persona.
Roberta Andrello
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1BRUSCIA KENNETH E., Problemi di definizione, in Definire la Musicoterapia, Gli Archetti, 1989, trad. it. di F. Bolini, pp. 15-17.
2BRUSCIA KENNETH E., op. cit. p. 17.
[3] 3BRUSCIA KENNETH E., op. cit. p. 15.
4RUUD EVEN, La tendencia humanista-existencial en musicoterapia, in Los Caminos de la Musicoterapia, Ed. Bonum, pp. 96-97.
5RUUD EVEN, op. cit. p. 113.
6PERVIN LAWRENCE A., JOHN OLIVER P., La teoria cognitivo-sociale: Bandura e Mischel, in La Scienza della Personalità, Raffaello Cortina Editore, 1997,ed. it. a cura di G. Porzionato, p. 412.
7NUCCI LARRY, La struttura della scuola e della classe e lo sviluppo sociale dei bambini, in Manuale della scuola dell’obbligo: l’insegnante e i suoi contesti, Franco Angeli, 1999, a cura di F. Zambelli e G. Cherubini, p. 218.
8BONARDI GIANGIUSEPPE, Sul concetto di musicoterapia, in “ Brescia Musica“, Anno IX, n. 44 - Dicembre, Bimestrale di informazione e cultura musicale, Brescia, 1994, p. 21.
9SCHNEIDER MARIUS, Il significato della musica, Rusconi, 1970, pp. 96-97.
10LEYDI ROBERTO, La musica dei primitivi, Il Saggiatore, Milano, 1961.
11SLOBODA JOHN A., Musica, linguaggio e significato, in La mente musicale, Il Mulino, 1988, ed. it. a cura di R. Luccio, p. 52.
12SLOBODA JOHN A., op. cit. p. 109.
13KRAMER EDITH, Arts as Therapy with Childrens, Schochen Books, New York, 1971, in Wilma Cipriani, Esperienza estetica e cura in arte-terapia, in Regolazione delle emozioni e arti- terapie, Carocci, 1988, a cura di P. E. Ricci Bitti, p. 71.
14CATERINA ROBERTO, Musica e regolazione delle emozioni, 1997, in Emozioni e musicoterapia, Quaderni di musica applicata, n. 20, PCC,1997, pp. 31-32.
15CATERINA ROBERTO; La regolazione delle emozioni, in Regolazione delle emozioni e arti- terapie, Carocci, 1988, a cura di P.E. Ricci Bitti, p. 34.
16Ibid.
17RUUD EVEN, Los caminos de la Musicoterapia, Ed. Bonum, p. 15.
18RUUD EVEN, Music Therapy and its Relationship to Current Treatment Theories, St. Louis, Missouri: Magnamusic-Baton, 1980, p. 1, in L. Bunt, op. cit. p. 16.
19ZINGARELLI NICOLA, Terapia, in Vocabolario della lingua italiana, 1995.
20PORZIONATO GIUSEPPE, Lineamenti di metodologia della ricerca scientifica in ambito musicale, in Memoria musicale e valori sociali, Ricordi, Milano, 1993, a cura di J. Tafuri, p. 82.
21BRUSCIA KENNETH E., Definire la musicoterapia, in Definire la Musicoterapia, Gli Archetti, 1989, trad. F. Bolini, p. 49.
22POSTACCHINI P. L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., Il terapeutico in musicoterapia, in Lineamenti di musicoterapia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, pp. 60-64.
23BRUSCIA KENNETH E., op. cit. p. 49.
24POSTACCHINI P.L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., Le strategie d’intervento, in Lineamenti di musicoterapia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, p. 103.