Cavallini Daria, A come... adolescenza
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- Pubblicato Giovedì, 09 Luglio 2009 08:36
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L’adolescenza (14-18 anni), ha sempre rappresentato il più assillante e sconcertante problema sia sul piano scientifico che su quello della realtà umana. Essa infatti è una fase della realtà del tutto particolare e la crisi di maturazione che presenta appartiene a tutte le culture, pur avendo in comune le caratteristiche di transitorietà e temporaneità.
L’adolescenza è caratterizzata, secondo Lutte[1], “dall’aumento dei conflitti dell’individuo con sé stesso e con gli altri e da un aumento dei potenziali fisici, intellettivi ed emotivi”. Nell’attuale società, piena di contraddizioni e in crisi di crescita, la problematica adolescenziale oggi è particolarmente accentuata. L’adolescenza è il punto d’arrivo, secondo alcuni autori (D.Marcelli 1996, A. Polmonari, F. Carugati, P.Ricci Bitti, G.Sarchielli 1979)[2], di tre fondamentali mutamenti che rappresentano altrettante conquiste, riguardanti rispettivamente la maturazione somatica, il diverso rapporto psico-affettivo con i genitori e l’acquisizione del ruolo di “adulto”.
Per quanto concerne la prima di dette conquiste si può dire che al corpo infantile subentra un corpo adolescenziale con aumento dell'armonia delle proporzioni corporee, diminuzione della “goffaggine” ed aumento della forza fisica. Il rapporto con i genitori dall’infanzia (seconda conquista) cede man mano il posto ad un incontro che va diventando sempre più maturo. Alla perdita del ruolo infantile, il ragazzo conquista un ruolo che si avvicina a quello dell’adulto.
È questo l’aspetto psicologico più difficile dell'adolescente perché, mentre egli cerca in definitiva l’incontro, i genitori e la società tutta non sono in grado, per la forte insicurezza insita in loro, di rispondere adeguatamente e di infondere sicurezza, onde l’incontro si risolve in un aumento del senso di insicurezza e sfiducia nei riguardi della società. L’adolescente sente, pur non avendone tutte le possibilità, di dover fare da solo, il che può essere fortemente pericoloso in quanto porta ad una supervalutazione di sé stessi e delle proprie capacità e ad agire di conseguenza quasi come sotto l’effetto di una “droga psicologica”. Teso, inoltre, alla conquista dell’affermazione del proprio io e non trovando valide identificazioni con i genitori le cerca nel gruppo. In effetti i rapporti con i genitori sono ambivalenti: la rivalità con essi alimenta atteggiamenti di critica e di distacco dalla famiglia, ma contemporaneamente è viva nel giovane l’esigenza di trovare sicurezza attraverso un’identificazione positiva. Altra caratteristica tipica di quest’età che si esprime spesso in maniera eclatante e che ancora così frequentemente spaventa, è l’opposizione emotiva e anche razionale che l’adolescente manifesta nei riguardi del mondo degli adulti. Dalla consapevolezza dell’accrescersi in lui di energie di ogni natura, fisiche e psichiche, nasce la tendenza all’autonomia da cui prende le mosse la caratteristica opposizione che, preparata da quella già iniziata in fase pre-adolescenziale, è ora vissuta in maniera tanto più drammatica quanto più l’adolescente ritiene di essere fortemente minacciato. A questa situazione l’adolescente può rispondere con atteggiamenti difensivi che possono concretizzarsi con uno stato di “malattia” e con l’insorgenza di turbe del carattere o con vere e proprie fughe, oppure con atteggiamenti “negativistici”: comparsa di anoressia mentale (specie nelle ragazze), apatia, mancanza di interessi, melanconia fino alla perdita dell'istinto vitale, che in rari casi può sfociare nel suicidio. Non solo i genitori, ma anche la scuola e la società non vengono incontro alle esigenze dei ragazzi di questa età, alimentando con i loro atteggiamenti controproducenti lo stato oppositorio.
Se guardiamo ad esempio alla scuola vediamo che, malgrado i progressi fatti, essa tuttora non aiuta ad assumere certe responsabilità, ancora non formula del tutto i suoi programmi in rapporto alle esigenze psico-sociali dell’adolescente e al suo sviluppo intellettivo, per cui non porta a capire le cose con la dovuta gradualità. Infatti nella scuola primaria si raccontano i “fatterelli”, nella secondaria di I grado i fatti sono arricchiti da tante e tante nozioni (date, altezze, nomi, ecc.), nel liceo, infine, improvvisamente si vogliono sapere i “perché”. L’adolescente si sforza, acquista questa forma mentis, ma poi la usa non solo per rispondere all’interrogazione scolastica, ma per tutto ciò che lo circonda: la famiglia, l'autorità, la religione. Infine, nell’atteggiamento della società di fronte all’inserimento del giovane c’è sempre una situazione di rifiuto e permangono notevoli pregiudizi, a volte indubbiamente sostenuti da quegli atteggiamenti di aggressività e di opposizione dei giovani verso la società costituita. Ed ecco la reazione anche violenta che chiude e sostiene il “giro vizioso” e la svalutazione di chi rappresenta molto male“l’autorità”: i genitori in primo luogo, gli insegnanti, lo Stato. Da queste basilari premesse parte la necessità per l’adolescente e il giovane di riunirsi in gruppi spontanei e di far parte di associazioni che si fanno portatori di valori sentiti dall'adolescente e che, anche se strumentalizzano, leniscono il suo stato d’insicurezza che il comportamento degli adulti e del resto della società esaspera. Le esperienze di gruppo, non sempre positive specie per la superficialità e l’instabilità delle identificazioni secondarie, che agiscono più a livello di “suggestione” che a livello profondo, possono tuttavia offrire all’adolescente l’opportunità di apprendimento e maturazione psicologica. Se infatti egli riesce a stabilire un ruolo che lo soddisfa profondamente nel gruppo dei coetanei, egli getta le basi del suo ruolo successivo nel mondo sociale degli adulti. Dal punto di visto intellettivo, dopo i quindici anni l’individuo dispone ormai dell’intelligenza formale e astratta. In tal modo è capace di subordinare il reale al possibile (“conta il risultato ottenuto, ma anche altri se ne sarebbero potuti ottenere”) e di scoprire operazioni combinatorie, vale a dire: vengono cioè considerate in forma sistematica tutte le combinazioni possibili fra un insieme di dati e le operazioni, in modo da raggiungere gradualmente il pensiero realistico autonomo del giovane adulto[3]. L’adolescente, nel passaggio dal controllo parentale all’autonomia nei valori e nel comportamento, deve liberarsi anche dal controllo “emotivo” dei genitori. Per raggiungere questo risultato cerca e trova nel “gruppo” un sostegno ed una sicurezza che lo aiutano a vincere queste invisibili barriere emotive di resistenza che spesso i genitori erigono. I genitori ponendo, spesso inconsapevolmente, “barriere emotive” non riescono a comprendere questo atteggiamento e, con comportamenti repressivi, talvolta aumentano le difficoltà, mentre dovrebbero cercare di vivere i naturali conflitti come una normale fase di sviluppo dei figli verso l’autonomia, cedendo via via il controllo in funzione della maturità acquisita dall’adolescente. Il problema sta nel fatto che il giudizio su tale maturità si basa su una “percezione” influenzata dalle stesse “barriere emotive” che, avendo natura inconscia, sono difficili da riconoscere ed elaborare, laddove ne esista la possibilità.
I nuovi adolescenti
Nel corso degli ultimi decenni l’adolescenza si è notevolmente allungata. Anche i genitori degli adolescenti di oggi hanno vissuto un’adolescenza più simile a quella dei loro figli che a quella dei loro genitori, ma la conquista delle libertà e dei riconoscimenti desiderati non è avvenuta senza conflitti con la generazione dei padri. Mai come negli ultimi anni gli adolescenti hanno vissuto il paradosso di una precoce e indolore acquisizione di spazi di autonomia insieme ad un ritardo crescente dell’entrata nell’età adulta. Il maturo e definitivo distacco dai genitori risulta difficoltoso e spesso viene solo tardivamente raggiunto. Ovviamente sono molte le cause sociali ed economiche che concorrono a determinare questo fenomeno: la maggiore durata del corso di studi e della formazione al lavoro, le difficoltà economiche che ritardano l’inizio di un inserimento lavorativo stabile, il controllo delle nascite e la liberalizzazione sessuale, la crisi dell'istituzione matrimoniale, una sempre più grande libertà dai vincoli di tipo sociale. Le giovani generazioni non sono tenute a ripercorrere le strade battute o segnate dalle generazioni precedenti, non sono gravate da aspettative sociali vincolanti, ma piuttosto dall’aspettativa di una piena realizzazione individuale; il passato perde importanza e si annulla quella verticalità (distinzione, lungo termine, eternità) che consente il collegamento tra passato, presente e futuro. La famiglia di oggi solitamente rifiuta i modelli autoritari e accorda ai figli molta libertà, ma questa tendenza può arrivare a degli eccessi che portano a lasciare l’adolescente in balia di se stesso, delle proprie contraddizioni e dei propri bisogni, privato di riferimenti adulti solidi a cui appoggiarsi per poter crescere. Questo tipo di contesto riconosce l’adolescenza solo nella sua immagine più apparente e superficiale e non ne riconosce i bisogni più profondi: paradossalmente è proprio il bisogno di un tempo per crescere e per rinsaldare la propria identità che non viene riconosciuto, dal momento che viene negato il riconoscimento di persona in formazione, che deve sperimentare ma anche ricevere sostegno e guida dagli adulti. L’esercizio della libertà dell’individuo non può prescindere dalla sua maturità, il cui segno evidente è la capacità di differire il soddisfacimento dei propri impulsi e desideri. Per gli adolescenti saper accettare regole e limiti rappresenta un segno di maturità, così come saper gestire i conflitti che nascono nell’incontro con gli altri, ma ai ragazzi di oggi molto spesso è stato “risparmiato” l’incontro con esperienze di questo tipo da adulti molto protettivi nei confronti dei figli. Sembra che anche per gli adulti sia diventato molto difficile accettare l’idea di dover imporre regole e limiti. In questo modo gli adulti rischiano però di togliere agli adolescenti la possibilità di misurarsi con le proprie capacità di affrontare le frustrazioni che la realtà inevitabilmente infligge e di trasmettere un messaggio implicito di mancanza di fiducia nelle proprie possibilità di crescere e di affrancarsi dalla tutela protettiva e rassicurante dei genitori. Sia che l’adulto abbandoni precocemente il ragazzo a se stesso sia che, al contrario, si frapponga regolarmente tra quest’ultimo e le difficoltà che gli provengono dal mondo esterno, l’adolescente si sentirà estremamente fragile, sentirà che per lui le frustrazioni sono intollerabili e che solo i genitori le possono gestire, mentre lui non ce la può fare. Un possibile modo per difendersi da questo senso intollerabile di fragilità consiste nel deresponsabilizzarsi di fronte agli appuntamenti importanti della vita, sfruttando solo gli aspetti immediatamente gratificanti della crescita, ubriacandosi di libertà, ma restando profondamente insoddisfatti di se stessi e convinti di non farcela, finendo per sentirsi depressi e privati della necessaria autostima. La famiglia che privilegia il dialogo e la circolazione di affetti, che ha abbandonato certe rigidità del passato per dare spazio ai diritti dei figli di esprimere le proprie scelte e inclinazioni, non deve essere necessariamente una famiglia che nega una importante funzione ai genitori di adolescenti. Quando l’adulto sostiene la possibilità dell’adolescente di fare le proprie esperienze in una relativa autonomia, ma mantiene il proprio ruolo di genitore _ il che prevede fiducia nelle risorse del figlio, gradualità nel permettergli di affrontare le esperienze, presenza di un adulto che consente il distacco e l’allontanamento ma anche il ritorno, che sa ascoltare e comprendere le difficoltà, che accetta di poter avere dei conflitti con i figli senza sentirli come fallimenti _ l’adolescente si sente libero di vivere il tempo della ricerca e della sperimentazione di sé e delle proprie risorse senza correre troppi rischi. In questo movimento di andirivieni i genitori aiutano l’adolescente a tessere la stoffa della propria identità senza disfarla notte tempo per paura della separazione. Scopo finale dell’educazione è, infatti, quello di permettere ai figli di diventare autonomi e di non dipendere più dall’autorità dei genitori. La maggior parte dei conflitti tra genitori e figli riguardano la disponibilità e l’uso del denaro, l’orario del rientro serale, le attività del tempo libero, il modo di vestirsi. I conflitti su tali argomenti nascondono la preoccupazione relativa a eventuali relazioni sentimentali dei figli e il tentativo di controllarle. I conflitti sui valori morali, la politica, la religione e altre questioni fondamentali sono piuttosto rari. Studiosi interessati alla psicologia sociale hanno messo in luce come gli stili relazionali dei genitori si basino principalmente su due dimensioni: l’accettazione ed il controllo. L’accettazione consiste nell’apprezzare il figlio per quello che è, valorizzandone le qualità senza pretendere che assomigli ai genitori.
Il controllo consiste nel guidare il ragazzo, sostenerlo e stimolarlo, dargli consigli. A seconda di quanto è presente ognuna delle due dimensioni all'interno della relazione, originerà differenti stili educativi:
- l’autorevolezza implica la presenza in modo elevato sia del controllo che dell’accettazione. I genitori autorevoli sono responsabili nei confronti dei figli, fungono da sostegno e da guide. Sono sensibili ai bisogni degli adolescenti e fanno loro delle richieste in relazione alle abilità. Essi incoraggiano il dialogo e tendono a chiarire i motivi delle concessioni e delle punizioni, incentivano il ragazzo nel percorso verso l’autonomia dando responsabilità consone alle capacità. Avere genitori autorevoli aiuta l'adolescente a sviluppare senso critico, sicurezza e buona capacità di ambientamento;
- l’autorità implica la presenza di elevato controllo ma di scarsa accettazione. I genitori autoritari tentano di plasmare il figlio a seconda di un loro ideale, senza accettarlo per quello che è, si esprimono con valutazioni e giudizi ogni volta che il figlio si allontana dallo standard previsto. Scoraggiano il dialogo perché pretendono di essere ubbiditi senza discussione alcuna. I figli di genitori autoritari tendono a diventare ansiosi e frustrati, sviluppano una bassa stima di sé e hanno difficoltà di adattamento;
- il permissivismo implica la presenza di elevata accettazione ma scarso controllo. I genitori permissivi non puniscono e non avanzano pretese, non guidano i figi nelle loro scelte e ne soddisfano i desideri anche se sono privi di senso. Accettano i ragazzi per quello che sono, senza proporre standard di comportamento. I figli, a loro volta, considerano i genitori distanti e privi di interessi nei loro confronti, si sentono privi di sostegno nei momenti difficili.
L’adolescente e la scuola
Il compito assegnato alla scuola è formare i giovani per la vita adulta. Questo avviene sia insegnando loro competenze tecniche e scientifiche, sia preparandoli alla vita sociale. Vivere nella società moderna richiede conoscenze complesse che solo in parte possono essere trasmesse dalla famiglia. Il fermarsi alla scuola dell’obbligo implica disporre di competenze appena sufficienti per esercitare i propri diritti civili e svolgere un lavoro subordinato, ad eccezione di quei giovani dotati di particolari potenzialità che trovano un ambiente adeguato per svilupparle. Gli adolescenti che frequentano la scuola la vivono come un percorso naturale per la loro formazione, ne comprendono l’influenza che avrà sul loro futuro e la giudicano un’esperienza difficile da affrontare. Nonostante i giovani siano consapevoli dell’importanza della scuola, possono esserne spaventati dalle difficoltà e vivere in maniera negativa la condizione di studente. Le ricerche relative all’insuccesso scolastico hanno dimostrato che sono prevalentemente i maschi ad esserne vittime, i quali discutono meno volentieri e più superficialmente dei loro problemi scolastici. Sembrerebbe inoltre esserci una correlazione negativa tra la motivazione verso l’apprendimento e l’investimento scolastico a livello politico e istituzionale. Da quando frequentare le scuole superiori è diventato possibile a tutti e non solo alle classi agiate, come accadeva un tempo, si dà meno valore a questo beneficio. D’altra parte, per il mondo degli adulti, avere buoni risultati scolastici significa essere intelligenti, andare male a scuola vuol dire non esserlo. Questa stretta corrispondenza è vissuta con disagio dagli studenti, spesso vittime di ansia, paure e tensioni nei confronti delle prestazioni scolastiche e, non per niente, l’uso degli psicofarmaci è diffuso.
Al successo scolastico è legata l’autostima (si pensa che chi va bene sia intelligente e avrà una buona carriera), ma sono molti i giovani che, non conseguendo buoni risultati, scelgono vie alternative per avere una positiva visione di sé, ad esempio in una disciplina sportiva, nella musica, o ricercando la popolarità tra i coetanei. Quei giovani che non vanno bene a scuola, ma non riescono a trovare vie alternative di realizzazione, rischiano l’apatia o la depressione. Molto si parla di “sindrome da disagio scolastico[4]”, definibile come malessere psicologico causato da un’esperienza scolastica insoddisfacente da vari punti di vista. Tale sindrome non è alimentata soltanto da eventuali carenze intellettive o dallo scarso sostegno della famiglia, ma grande influenza è data dal clima psicologico della classe o dell’istituzione. Per clima psicologico si intende la qualità dei rapporti che l’alunno ha con i compagni e con gli insegnanti, e il modo in cui percepisce il regolamento scolastico. Gli insegnanti hanno un ruolo rilevante nella formazione dei giovani, perché sono delle figure adulte non legate agli allievi da rapporti affettivi, e per questo possono offrire un modello sociale meno invischiante di quanto non lo siano i genitori. Un buon insegnante, oltre a essere preparato professionalmente, dovrebbe possedere capacità relazionali che gli permettano di essere in sintonia con gli allievi e far funzionare bene la classe. Infatti, se l’insegnante si concentra sul singolo, rischia di perdere il controllo del gruppo, cosa che aumenta la confusione, mentre saper interagire con l’intera classe comporta maggiori livelli di motivazione e partecipazione da parte di tutti gli studenti. L’esperienza scolastica è la prima esperienza che l’individuo fa con un'istituzione sociale. Gli studenti sperimentano quotidianamente rapporti simmetrici (con i loro compagni) e rapporti asimmetrici (con insegnanti, personale amministrativo e preside), non solo dipendenti da fattori di personalità, ma regolati da norme di comportamento stabilite dal regolamento scolastico. Gli adolescenti giudicano autorevoli quegli insegnanti ben preparati e con buone doti relazionali, ma sanno comunque che chiunque rivesta la figura dell’insegnante deve essere rispettato per il ruolo che ricopre. All’interno dell’istituzione scolastica si mettono in atto le prime trasgressioni (fumare nei bagni, non fare i compiti, marinare la scuola) e se ne pagano le sanzioni (note sul registro, brutti voti, sospensioni). Gli studenti possono inoltre accettare le regole scolastiche, metterle in discussione o non accettarle. Un atteggiamento di sfiducia o di ribellione nei confronti dell’istituzione scolastica ha buone probabilità di essere trasferito in età adulta alle istituzioni in genere, a meno che il soggetto abbia in seguito la possibilità di sperimentare relazioni soddisfacenti con altre istituzioni sociali. Attualmente essere adolescente implica avere l’identità di studente. La scuola dovrebbe impegnare l’adolescente almeno fino al raggiungimento della maggiore età, ma questo non si verifica per tutti. Vi sono ancora ragazzi che interrompono anticipatamente gli studi per vari motivi, come difficoltà familiari, processi di socializzazione distorti, disagio sociale, handicap fisici o mentali o storie di immigrazione. Questi giovani devono fondare la loro autostima su obbiettivi extrascolastici e, in alcuni casi, la ricerca dell'autostima può portare l’adolescente a sfidare le regole sociali, acquisendo comportamenti devianti, o, all’estremo opposto, diventando demotivati e apatici. Gli psicologi interessati al sociale si domandano se un individuo in età adolescenziale, che non frequenti la scuola, viva l’adolescenza al pari dei coetanei, o si debba parlare di “adolescenza mancata”. In realtà, sembra che l’adolescenza sia un'esperienza universale, sia per la maturazione fisica, sia per la definizione dell’identità che comporta. È tipico di qualsiasi adolescente il conflitto con la famiglia, la ricerca del sostegno genitoriale e il contemporaneo bisogno di autonomia, la partecipazione a gruppi di coetanei e subire l’influenza delle mode dettata dai mass-media. Per gli adolescenti che non vanno a scuola, è probabile che il compito di ridefinire sé stessi risulti più complicato di chi è studente. Questo è dovuto al fatto che la scuola fornisce maggiori competenze per rapportarsi con le istituzioni ed al fatto che ricoprire un ruolo marginale rispetto, a chi è studente, aumenti la probabilità di essere vittime del consumismo.
Riflessioni.
Si è parlato di autorevolezza, quante volte questo termine entra nel linguaggio adulto, soprattutto di coloro che operano a contatto con bambini e adolescenti, ma ne conosciamo il vero significato? E ancora, si parla tanto di questo periodo difficile che è l'adolescenza, da tempo la si studia, la si elabora, si cerca di comprenderla ma loro, i ragazzi, sappiamo
ascoltarli? Chi risponderebbe: “No!” – “Tutti siamo stati adolescenti!” - diciamo - ma, forse, buona parte di noi ha realmente “dimenticato” cosa accade e come si vive quel periodo o forse, come sembrano indicare i più recenti studi, molti sono ancora in quel periodo ben oltre i 25 anni! Sta di fatto che non è così semplice. Loro hanno bisogno di noi, ma sono anche contro di noi e la ricetta che viene generalmente data è: autorevolezza! Sì... ma cosa vuol dire? Forse comprendere il marasma interiore e sconosciuto che li muove, saperlo riconoscere, accoglierlo e restituirlo aiutandoli ad acquisire una propria armonia interiore in relazione al mondo e a loro stessi, ma... siamo realmente in grado di farlo? Anzi, come è possibile farlo se spesso noi stessi non sappiamo riconoscere le nostre emozioni, le nostre pulsioni, le nostre difese di fronte ad eventi e situazioni che si allacciano a profondi vissuti affettivi? Quante volte si sente ripetere: “I ragazzi oggi non capiscono che hanno tutto”... “Io ai miei tempi...” ecc., con quel tono di voce giudicante, pronto già a “condannare” prima ancora di provare a capire! È vero, ci sono molte agevolazioni rispetto al passato, ma a che prezzo forse non l’abbiamo considerato. Il bisogno impellente, oggi più di ieri, di conformarsi a modelli in una società che vive di consumismo e apparenza, porta a relegare sempre più a fondo tutta quella gamma di paure, incertezze che caratterizzano l’uomo ed in particolare il giovane. Il giovane racconta e si racconta bugie per non mostrare ciò che viene considerata debolezza e che, sempre più spesso, trova la sua strada attraverso comportamenti devianti verso stupefacenti, alcool e violenza. La maggior parte di loro ha difficoltà ad intessere relazioni profonde con i coetanei, è diffidente verso i pari e paradossalmente cercano figure adulte che possano fungere da modelli di riferimento, che non li tradiscano, ma di frequente si scontrano con un mondo arroccato su vecchie concezioni e modalità, dove chi viene scelto da un ragazzo, spesso non è in grado di capire cosa prova e si difende puntando il dito e creando, quindi divari ancora più ampi. Per essere autorevoli bisogna conoscersi, accettare i propri limiti, potenziare le capacità in una ricerca umile e perseverante che dura tutta la vita. Lo facciamo? Nel tempo del “sempre giovani” è difficile accettare il trascorrere degli anni, ma soprattutto è difficile ammettere che forse, di quei giovani siamo in fondo invidiosi, invidiosi della loro età, della loro progettualità e non capiamo che proprio questa potrebbe essere una grande ricchezza, una grande possibilità per continuare a crescere noi e noi con loro in uno scambio che permetta ai ragazzi di diventare uomini e agli uomini di non perdere il desiderio di andare avanti. Imparare ad “ascoltarli” è imparare ad “ascoltarsi” per costruire insieme!
Daria Cavallini
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[1]Lutte G., (1978), Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna 1987.
[2]RICCI BITTI P.E., POLMONARI A., CARUGATI F., SARCHIELLI G., “Identità imperfetta. Giovani e adolescenti come fenomeno o rappresentazione sociale?”. Carocci Editore, Roma 1979.
[3]Berti A. E., Bombi A.S., Psicologia del bambino, Il Mulino, Bologna 1985.
[4]Articoli tratti dal sito “psicopedagogia.it”.